Il topo
Collegno, 18 marzo 2010
Io sono solo un topo e rosicchio le croste di formaggio; viene considerato un
cibo povero, ma a me piace così e c’è un buon rapporto tra qualità e fatica per
procurarselo; non mi interessa altro fin quando vengo lasciato in
pace.
È da un bel po´ di tempo che ormai vivo su questa nave; agli inizi ho esplorato
tutti i suoi angoli, anche i più nascosti, e mi sono formato la mia mappa
mentale; ma ormai mi sono scelto i miei nascondigli preferiti e passo il mio
tempo nell’uno o nell’altro a seconda di quello che mi piace di più in quel
periodo; ho scelto solo pochi posti dove mi piace stare, ma va bene così se non
ho bisogno di cercarne altri.
Gli esseri umani che stanno sulla nave sanno della mia presenza, anzi dovrebbero
saperlo anche se ho notato che gli umani tendono a dimenticare presto tutto
quello con cui non hanno a che fare tutti i giorni: il loro comportamento è così
incostante!
E poi i marinai sulla nave non sono sempre gli stessi: molti stanno qualche
settimana o qualche mese e poi se ne vanno e ne vengono altri al loro posto.
Quando la nave è in porto, non c’è nessun altro che vive costantemente qui a
parte me, nemmeno il capitano; in un certo senso potrei dire di essere io il
padrone di casa, ma io sono solo un topo e queste cose non hanno presa sulla mia
coscienza.
Quando qualche umano mi scorge mentre sfreccio dietro un angolo buio, non
reagisce sempre allo stesso modo: naturalmente la maggioranza si limita ad
un’occhiata e poi se ne va dimenticandomi subito; ma ogni tanto capita che
qualcuno, specialmente tra i più giovani, si sofferma un po´ di più e magari si
china a scrutare intorno come se volesse entrare in contatto con me, come se
volesse conoscermi, anche se io mi sono già nascosto al sicuro per osservarlo e
nessuno può trovarmi.
Sono incuriosito da questi comportamenti, e ancora di più quando capita che
qualcuno di questi umani sembra quasi prendermi in simpatia e così ogni tanto mi
lascia un pezzetto di formaggio lì dove mi aveva visto.
Io approfitto di quel cibo gratis, ma faccio attenzione a non farmi mai più
vedere: l’umano si sofferma sempre chinandosi per scrutare intorno nel cercarmi,
sia quando lascia il formaggio, sia quando viene a controllare ed io l’ho già
portato via e lui va via soddisfatto; io lo osservo sempre da lontano senza
farmi vedere.
Una, due, tre volte… Poi tutto finisce perché l’umano lascia la nave o
semplicemente si dimentica anche lui di me.
Ogni tanto, qualche altro umano che scopre la mia presenza, magari tra i più
anziani, piazza una o due trappole, ma io non mi preoccupo: quelle trappole
erano già obsolete quando io ero un topino; è curioso come gli umani sviluppino
certe tecnologie in modo così veloce mentre per certe altre rimangano così
indietro malgrado l’evidente inefficienza.
Ad ogni modo, anche le trappole spariscono presto; gli uomini sono così
incostanti!
Non è la prima nave dove mi stabilisco e probabilmente non sarà l’ultima, anche se non mi piace spostarmi, cambiare ambiente, cambiare abitudini; ma io sono solo un topo e non sono legato a nessun luogo in particolare; semplicemente, se sarà necessario me ne andrò, altrimenti resterò qui.
Ogni tanto, mentre i marinai caricano le casse nella stiva passandosele l’un
l’altro a catena, li sento chiaccherare, e qualche volta li sento dire come per
scherzo « Eh, siamo tutti nella stessa barca… ».
Anche nella nave dove stavo prima sentivo la stessa cosa; da altri discorsi
sentiti in cambusa, credo di aver capito che quella frase si riferisca ad un
modo di dire tra gli umani che significherebbe che quando si è tutti nella
stessa situazione bisogna aiutarsi e restare uniti; i marinai ci scherzano su
perché loro stanno davvero tutti insieme su una nave.
Ma io sono solo un topo e non sono d’accordo con questi modi di dire.
Nella nave dove stavo prima, una volta mi sembra di aver sentito un altro modo
di dire sul fatto che « il capitano dovrebbe morire con la propria nave » o
qualcosa del genere.
Beh, può darsi, ma io sono solo un topo e non sto nella stessa barca con nessuno
e tanto meno ci tengo a fare il capitano.
Una notte di tempesta, è scoppiato un incendio su quella nave ed io sono
scappato subito a nuoto prima che la nave affondasse, tanto sono leggero e
galleggio facilmente anche con il mare agitato, anche se mi sono stancato
molto.
Dei marinai qualcuno si sarà salvato e qualcuno sarà morto, non lo so. Quella
terribile notte, una volta sano e salvo al porto, ho anche rivisto il capitano
che usciva dalle acque arrampicandosi faticosamente su una banchina, malconcio
ma vivo: evidentemente aveva abbandonato la nave prima di altri meno fortunati e
meno pronti sia di me che di lui.
È stato dopo quella notte che ho cominciato ad esplorare le banchine del porto fin quando ho trovato un’altra nave dove posso stare bene fin quando non sarà di nuovo il momento di cambiare: questa dove vivo ora.
Io sono solo un topo, rosicchio le croste di formaggio e, se la nave sta per affondare, sono il primo a scappare senza voltarmi indietro e non ci si può aspettare altro da me.
Dario Scoppelletti