Il sole scompare lontano dietro l’orizzonte per l’ultima volta
prima della lunga notte invernale.
Il mare si fa sempre più denso e bianco come se il tempo avesse
accelerato il suo corso: è già ghiaccio.
Mi chino e poggio la mano aperta sulla lastra di ghiaccio; i polpastrelli ed
il palmo aderiscono al ghiaccio, si appiccicano al ghiaccio.
Lascio che il calore fluisca dalla mia mano, si espanda; immagino che il
ghiaccio cominici rompersi, ma non è vero.
È invece la mia mano ad essere sempre più fredda; sento un leggero
formicolio sul palmo come se minuscoli aghi di ghiaccio pungessero e
solleticassero, ma dura solo l’attimo di un brivido e poi svanisce anche
quel residuo di sensibilità del tatto.
Ora tocca alla mia mente essere avvolta da un fumo bianco, polveroso e freddo, a
intorpidirsi, a contrarsi e ritirarsi.
Rimane solo il gelo, il duro, il ghiaccio.
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