Il giocattolo sta sul piano della libreria, un po´ stretto tra i libri
e in compagnia di qualche altro gioco sparso; aspetta che il suo padroncino
venga a giocare un po´ con lui.
È così che il giocattolo passa le sue giornate: ad aspettare,
senza fare mai niente, niente di speciale, niente che valga la pena di essere
raccontato; solo aspettare di poter passare un po´ di tempo con il suo
padroncino, anche solo un’ora, anche solo qualche minuto di
felicità; poi viene di nuovo posato nel suo angolo della libreria ad
aspettare senza fare niente fino alla prossima volta.
In realtà al giocattolo piacerebbe stare sempre con il suo padroncino,
ma lo sa che ovviamente non è possibile: lui ha mamma e papà, la
scuola, i compiti, gli amichetti e naturalmente altri giochi.
Ogni tanto il giocattolo vorrebbe chiamare il suo padroncino: «Posso stare
stare un po´ con te?», ma solo i giochi con un nastro preregistrato
dentro possono parlare e lui non ce l’ha. In fondo il giocattolo
aspetterebbe paziente e in silenzio anche se potesse parlare: è un
po´ timido e poi non vuole disturbare nessuno.
Qualche volta al giocattolo sembra che passi tanto tempo senza che il padroncino lo cerchi, anche se lo sa che i bambini hanno una concezione del tempo diversa da quella dei giochi; deve rassegnarsi e godere di ogni attimo che può passare con lui quando fa piacere a lui, e per il resto non fare nulla.
Quando il bambino torna a casa da scuola ed entra nella sua cameretta, ogni
tanto, passando davanti alla libreria, saluta il giocattolo con la manina e con
il suo bel sorriso; allora, anche solo per così poco, per il giocattolo
è come se fosse festa e sorride anche lui di rimando al bambino.
Beh, in realtà i giocattoli possono muoversi solo se hanno le pile dentro
ma anche così di solito non hanno una mimica facciale: il giocattolo il
sorriso ce l’ha solo cucito sul muso morbidoso, però lui sorride
con il cuore e in quei momenti è convinto che il padroncino possa vederlo
anche solo con gli occhi della fantasia.
Magari passa del tempo prima che il bambino prenda di nuovo il giocattolo
dalla libreria, e allora il giocattolo ci pensa che in fondo il suo padroncino
non può mica verderlo veramente quando gli sorride, non può mica
saperlo quanto lui gli vuole bene, e così diventa triste e gli vengono
tetri pensieri di solitudine.
Così, quando il bambino torna a cercarlo, il giocattolo vorrebbe
dirglielo: «Perché non sei più venuto a giocare con
me?», ma se lo scorda subito perché è di nuovo tanto
felice.
Più tardi la mamma chiama il bambino per la cena, e allora il giocattolo
si ritrova di nuovo da solo sul piano della libreria e ricomincia ad aspettare
sognando della felicità appena vissuta e, se non dovrà aspettare
tanto, questo gli basterà.
Il bambino crescerà e non gli interesserà più giocare,
ma il giocattolo non se la prenderà a male: lo sa che per i bambini
è naturale che il tempo trascorra e modifichi le cose, mentre per i
giochi rimarrebbe sempre tutto uguale.
Il giocattolo rimarrà lì appoggiato ad un atlante nel suo angolo
della libreria e vivrà dei ricordi di quanto era bello giocare con il suo
padroncino, e, se da grande il suo padroncino potrà essere felice, allora
sarà felice anche il giocattolo.
Anche quando sarà cresciuto, forse il bambino si ricorderà ancora
con piacere di quando passava un po´ di tempo con il giocattolo,
così ogni tanto, quando tornerà a casa e passerà davanti
alla libreria, magari lo saluterà ancora. Sarebbe bello!
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