Il bambino gioca nell’ingresso; è la stanza più buia
della casa perché è stretta, senza finestre, e le mattonelle del
pavimento sono di un marrone ancora più scuro di quello del mobile a
parete; il bambino ha paura e allo stesso tempo è attratto dal buio.
Soprattutto nell’ingresso il bambino può stare da solo, ad esempio
quando c’è qualche ospite che sta nel tinello con i suoi a
chiaccherare.
Gli altri rappresentano un’interferenza nelle costruzioni mentali dei
giochi del bambino, e poi lo limitano perché lui sente il bisogno di non
attirare l’attenzione su di se e di non mostrare le sue fantasie e quindi
se stesso.
Il bambino gioca immaginando che l’ingresso sia una caverna oscura e
che negli angoli più bui, come dietro la porta del ripostiglio, ci siano
gli uomini-becco in agguato.
Ma il bambino può travestirsi per sembrare anche lui un uomo-becco e non
farsi riconoscere da loro quando deve attraversare la caverna; ci vuole la sua
mantella di incerata nera per la pioggia: indossandola, le forme delle spalle e
delle braccia si confondono come se fossero grandi ali nere ripiegate, e poi,
abbassando sul viso la tesa del cappellino in coordinato, questa copre gli occhi
e sembra proprio prolungarsi sul naso come il becco di un corvo. Un
travestimento perfetto!
Solo che la mantella è proprio dentro il ripostiglio appesa al manico
della lucidatrice, proprio il covo dove ci sono più uomini-becco: non
bisogna farsi scoprire.
Poi il bambino pensa che forse sua mamma lo sgriderebbe se prendesse la
mantella, o comunque gli altri scoprirebbero il suo gioco, che lui non vuole
spiegare, e lo prenderebbero in giro. Forse è meglio limitarsi ad
immaginarselo di indossare la mantella per proseguire il gioco.
Il bambino comincia così ad attraversare la caverna cercando di non
farsi scoprire, anche se ogni volta che incrocia un drappello di uomini-becco
viene colto dal terrore che lo scoprano e gli sale il cuore in gola.
Nella finzione del gioco ovviamente la caverna è molto più lunga
dei quattro metri reali dell’ingresso, lunga e tortuosa e anche molto
più tenebrosa.
Il bambino cerca di appiattirsi scomparendo contro il buio della parete e allo
stesso tempo di affettare disinvoltura; deve cercare di sembrare ad esempio un
messaggero del re degli uomini-becco con un incarico importante, anche se
potrebbe dare nell’occhio perché lui è da solo mentre gli
uomini-becco sono sempre in gruppi di tre o quattro appollaiati in qualche
angolo a scrutare nell’oscurità con i loro occhi luccicanti e
malevoli.
Bisognava portare qualcuno con se, qualche amichetto, ma per questo il bambino
avrebbe dovuto rivelare il suo gioco e l’esistenza degli uomini-becco, e
non vuole farlo; no, da soli ci si muove meglio, si è più
liberi.
Finalmente il bambino arriva a destinazione sano e salvo: anche questa volta
nessuno l’ha notato e se l’è cavata.
Ora il bambino è davanti alla porta della camera da letto, dove gli hanno
insegnato che non si entra di giorno a giocare per non sporcare e per non
rovinare il parquet. Proprio lì di fianco alla porta della camera
c’è la porta del ripostiglio, il luogo dove ci sono il maggior
numero di uomini-becco di tutta la caverna: meglio tornare indietro di
corsa.
E poi ormai sarà quasi ora della merenda.
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