Gli uomini-becco

Orbassano, 25 luglio 2007

Il bambino gioca nell’ingresso; è la stanza più buia della casa perché è stretta, senza finestre, e le mattonelle del pavimento sono di un marrone ancora più scuro di quello del mobile a parete; il bambino ha paura e allo stesso tempo è attratto dal buio.
Soprattutto nell’ingresso il bambino può stare da solo, ad esempio quando c’è qualche ospite che sta nel tinello con i suoi a chiaccherare.
Gli altri rappresentano un’interferenza nelle costruzioni mentali dei giochi del bambino, e poi lo limitano perché lui sente il bisogno di non attirare l’attenzione su di se e di non mostrare le sue fantasie e quindi se stesso.

Il bambino gioca immaginando che l’ingresso sia una caverna oscura e che negli angoli più bui, come dietro la porta del ripostiglio, ci siano gli uomini-becco in agguato.
Ma il bambino può travestirsi per sembrare anche lui un uomo-becco e non farsi riconoscere da loro quando deve attraversare la caverna; ci vuole la sua mantella di incerata nera per la pioggia: indossandola, le forme delle spalle e delle braccia si confondono come se fossero grandi ali nere ripiegate, e poi, abbassando sul viso la tesa del cappellino in coordinato, questa copre gli occhi e sembra proprio prolungarsi sul naso come il becco di un corvo. Un travestimento perfetto!
Solo che la mantella è proprio dentro il ripostiglio appesa al manico della lucidatrice, proprio il covo dove ci sono più uomini-becco: non bisogna farsi scoprire.
Poi il bambino pensa che forse sua mamma lo sgriderebbe se prendesse la mantella, o comunque gli altri scoprirebbero il suo gioco, che lui non vuole spiegare, e lo prenderebbero in giro. Forse è meglio limitarsi ad immaginarselo di indossare la mantella per proseguire il gioco.

Il bambino comincia così ad attraversare la caverna cercando di non farsi scoprire, anche se ogni volta che incrocia un drappello di uomini-becco viene colto dal terrore che lo scoprano e gli sale il cuore in gola.
Nella finzione del gioco ovviamente la caverna è molto più lunga dei quattro metri reali dell’ingresso, lunga e tortuosa e anche molto più tenebrosa.
Il bambino cerca di appiattirsi scomparendo contro il buio della parete e allo stesso tempo di affettare disinvoltura; deve cercare di sembrare ad esempio un messaggero del re degli uomini-becco con un incarico importante, anche se potrebbe dare nell’occhio perché lui è da solo mentre gli uomini-becco sono sempre in gruppi di tre o quattro appollaiati in qualche angolo a scrutare nell’oscurità con i loro occhi luccicanti e malevoli.
Bisognava portare qualcuno con se, qualche amichetto, ma per questo il bambino avrebbe dovuto rivelare il suo gioco e l’esistenza degli uomini-becco, e non vuole farlo; no, da soli ci si muove meglio, si è più liberi.

Finalmente il bambino arriva a destinazione sano e salvo: anche questa volta nessuno l’ha notato e se l’è cavata.
Ora il bambino è davanti alla porta della camera da letto, dove gli hanno insegnato che non si entra di giorno a giocare per non sporcare e per non rovinare il parquet. Proprio lì di fianco alla porta della camera c’è la porta del ripostiglio, il luogo dove ci sono il maggior numero di uomini-becco di tutta la caverna: meglio tornare indietro di corsa.
E poi ormai sarà quasi ora della merenda.

Dario Scoppelletti

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