Gocce di pioggia

Viaggio in treno da Torino a Milano, 2 novembre 2009

Il treno viaggia veloce attraversando i campi della pianura.
Ogni goccia di pioggia scivola lungo il vetro del finestrino lasciandosi dietro una scia con un’inclinazione sempre diversa verso il basso, ma sempre leggera a causa dell’accelerazione del treno, talvolta praticamente orizzontale: sembra quasi che le gocce facciano volutamente attenzione a non incrociarsi, ma ovviamente dipende dalla diversa altezza a cui hanno battuto sul vetro, dalla velocità, dall’angolo di incidenza e dalla dimensione e forma di ogni goccia, e tutto questo in relazione alla velocità del treno.

Ogni scia segue la propria goccia a pochi centimetri di distanza, probabilmente in funzione della quantità d’acqua iniziale e della diversa distribuzione della quantità di moto dopo l’impatto con il vetro del finestrino.
Ogni tanto, una goccia piega improvvisamente a scivolare in verticale: forse la coda della sua scia ha accelerato per qualche motivo appesantendo la goccia in testa quel tanto che basta per fare vincere la forza di gravità; ma un paio di centimetri più in basso la goccia incrocia la scia di un’altra goccia e si fonde con essa distribuendosi uniformemente in orizzontale senza causare altre deviazioni.
Mi torna in mente qualcosa che avevo studiato anni fa sui salti di livello di energia degli elettroni nel loro orbitale attorno al nucleo dell’atomo: se un elettrone cede energia, salta al livello di energia inferiore e l’energia ceduta viene emessa come fotone… o qualcosa del genere.

Quante variabili!
Massa, velocità direzione, temperatura, impurità…
Il vetro del finestrino ad occhio nudo è perfettamente liscio e trasparente, ma sicuramente presenta imperfezioni microscopiche ma sufficienti ad introdurre altre variabili tutte altrettanto incontrollabili.

I miei pensieri proseguono da soli, lontano, cercando di tracciare regole impossibili per ciò che non è controllabile come vorrebbe la mia mentalità analitica.
Sì, io vorrei che il mondo attorno a me, la vita, tutto fosse regolare e ] regolato anche se da meccanismi così complessi da rimanere molto lontani dalla comprensione degli uomini. Allora poche persone dotate di particolare ingegno e profondità di pensiero, impegnando la maggior parte delle proprie risorse, potrebbero di tanto in tanto riuscire a rilevare qualcuna di queste regole, anche se solo in parte e con un certo margine di errore, e questo rappresenterebbe un loro piccolo vantaggio sugli altri nel proprio ambiente, qualcosa che consentirebbe di esercitare un minimo controllo sulle dinamiche degli eventi e delle relazioni tra le persone. Prima o poi certe cognizioni potrebbero diventare alla portata di più persone, e allora bisognerebbe sforzarsi di ritagliarsi un altro piccolo vantaggio; anzi i più capaci potrebbero cogliere i primi segnali del mutare della situazione e attrezzarsi per tempo.
Quale altra società, quali altre condizioni di convivenza sarebbero più eque?
Certo, alcuni si conquisterebbero delle posizioni che garantirebbero dei vantaggi perduranti (cosa che avviene comunque e credo che sarebbe inevitabile in ogni caso e non ci trovo niente di male); ma per gli altri ci sarebbe la possibilità di realizzarsi nella vita a seconda delle proprie potenzialità, di come le si sanno mettere a frutto e dell’impegno che ci si mette. Sicuramente ci sarebbe ancora una componente di fortuna per le potenzialità iniziali di ognuno, ma questa aleatorietà dipenderebbe sostanzialmente dai frutti delle capacità espresse precedentemente nel proprio ambiente e poi, in ogni caso, la responsabilità di proseguire per la stessa strada virtuosa, anzi la responsabilità di continuare a progredire senza dilapidare i doni ricevuti, tornerebbe a ricadere sul singolo individuo.

Tanto tempo fa, pensavo che in un mondo del genere io sarei stato uno dei più bravi, che sarei stato bene e, non coltivando ambizioni particolari, me ne sarei potuto restare sereno, nell’ombra, come è nella mia natura.
Adesso non credo più che sarei comunque riuscito a raggiungere tutti i miei obiettivi, ma mi piace pensare che avrei potuto vivere serenamente anche dei fallimenti importanti pur di poter dire di aver ottenuto i risultati corrispondenti alla mia capacità individuale di rapportarmi con un mondo corretto, un mondo che funziona secondo regole complesse proprio per stimolare il progresso dell’umanità attraverso il successo dei singoli individui nel carpirle e volgerle a proprio vantaggio. Che senso ha l’appiattimento generale?, che senso ha una società che ha perso il suo scopo naturale di strumento al servizio del benessere del singolo individuo ed è divenuta ormai solo una massa informe che si autoreferenzia?

Quando la mia attenzione ritorna al presente, sul finestrino del treno, il vento ha cambiato direzione; la pioggia è diventata più fitta e con gocce più piccole; i percorsi sul vetro prima orizzontali vengono spezzati in verticale disegnando prima una specie di griglia indefinita e poi un informe puntinato.
I miei pensieri fuggono ancora un momento per immaginare l’analogia con un cancellino passato su una lavagna riempita di complesse funzioni matematiche e che lascia solo il disordine di un alone bianco di gesso sul piano nero di ardesia.

Troppe variabili!
Fin quando è solo pioggia sul finestrino, lasciare che la mia fantasia la osservi liberamente può essere un modo per far passare qualche minuto di questo viaggio; ma, per altro, io faccio fatica a gestire tutta questa impredicibilità, tutta questa mancanza di controllo.
E non capisco come fanno gli altri a continuare a girare in tondo, come fanno a non fermarsi per notare cose come le gocce di pioggia che scivolano su un finestrino.

Dario Scoppelletti

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