Il giocattolo
Collegno, 20 maggio 2007
Il giocattolo sta sul piano della libreria, un po´ stretto tra i libri e in
compagnia di qualche altro gioco sparso; aspetta che il suo padroncino venga a
giocare un po´ con lui.
È così che il giocattolo passa le sue giornate: ad aspettare, senza fare mai
niente, niente di speciale, niente che valga la pena di essere raccontato; solo
aspettare di poter passare un po´ di tempo con il suo padroncino, anche solo
un’ora, anche solo qualche minuto di felicità; poi viene di nuovo posato nel suo
angolo della libreria ad aspettare senza fare niente fino alla prossima volta.
In realtà al giocattolo piacerebbe stare sempre con il suo padroncino, ma lo sa
che ovviamente non è possibile: lui ha mamma e papà, la scuola, i compiti, gli
amichetti e naturalmente altri giochi.
Ogni tanto il giocattolo vorrebbe chiamare il suo padroncino: « Posso stare
stare un po´ con te? », ma solo i giochi con un nastro preregistrato dentro
possono parlare e lui non ce l’ha. In fondo il giocattolo aspetterebbe paziente
e in silenzio anche se potesse parlare: è un po´ timido e poi non vuole
disturbare nessuno.
Qualche volta al giocattolo sembra che passi tanto tempo senza che il padroncino lo cerchi, anche se lo sa che i bambini hanno una concezione del tempo diversa da quella dei giochi; deve rassegnarsi e godere di ogni attimo che può passare con lui quando fa piacere a lui, e per il resto non fare nulla.
Quando il bambino torna a casa da scuola ed entra nella sua cameretta, ogni
tanto, passando davanti alla libreria, saluta il giocattolo con la manina e con
il suo bel sorriso; allora, anche solo per così poco, per il giocattolo è come
se fosse festa e sorride anche lui di rimando al bambino.
Beh, in realtà i giocattoli possono muoversi solo se hanno le pile dentro ma
anche così di solito non hanno una mimica facciale: il giocattolo il sorriso ce
l’ha solo cucito sul muso morbidoso, però lui sorride con il cuore e in quei
momenti è convinto che il padroncino possa vederlo anche solo con gli occhi
della fantasia.
Magari passa del tempo prima che il bambino prenda di nuovo il giocattolo dalla
libreria, e allora il giocattolo ci pensa che in fondo il suo padroncino non può
mica verderlo veramente quando gli sorride, non può mica saperlo quanto lui gli
vuole bene, e così diventa triste e gli vengono tetri pensieri di
solitudine.
Così, quando il bambino torna a cercarlo, il giocattolo vorrebbe dirglielo:
« Perché non sei più venuto a giocare con me? », ma se lo scorda subito perché è
di nuovo tanto felice.
Più tardi la mamma chiama il bambino per la cena, e allora il giocattolo si
ritrova di nuovo da solo sul piano della libreria e ricomincia ad aspettare
sognando della felicità appena vissuta e, se non dovrà aspettare tanto, questo
gli basterà.
Il bambino crescerà e non gli interesserà più giocare, ma il giocattolo non se
la prenderà a male: lo sa che per i bambini è naturale che il tempo trascorra e
modifichi le cose, mentre per i giochi rimarrebbe sempre tutto uguale.
Il giocattolo rimarrà lì appoggiato ad un atlante nel suo angolo della libreria
e vivrà dei ricordi di quanto era bello giocare con il suo padroncino, e, se da
grande il suo padroncino potrà essere felice, allora sarà felice anche il
giocattolo.
Anche quando sarà cresciuto, forse il bambino si ricorderà ancora con piacere di
quando passava un po´ di tempo con il giocattolo, così ogni tanto, quando
tornerà a casa e passerà davanti alla libreria, magari lo saluterà ancora.
Sarebbe bello!
Dario Scoppelletti